Le ripercussioni della pandemia e prospettive di ripresa

I risultati relativi alla provincia di Modena della nuova indagine di Excelsior sulle imprese dopo il lockdown

Nel corso della rilevazione di Excelsior, il Sistema Informativo promosso da Unioncamere in collaborazione con l'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro e le Camere di Commercio italiane, effettuata dal 25 maggio al 9 giugno, si è implementato il consueto questionario sulle previsioni di assunzione delle imprese con diverse domande riguardanti gli effetti economici dell'epidemia sul tessuto imprenditoriale. Ad esempio vi sono informazioni sull'impatto della crisi sull'attività dell'impresa, sulle prospettive di recupero e sulle strategie messe in campo dalle imprese per affrontare al meglio questa crisi.

L'IMPATTO SULLE IMPRESE

Innanzitutto l'effetto sull'attività delle imprese è stato rilevante, ben il 55,3% delle imprese modenesi al momento della rilevazione operava con attività a regime ridotto, il 37,5% manteneva regimi simili al periodo pre-emergenza, mentre il 7,2% stava valutando se proseguire o meno l'attività. Esaminando i settori di appartenenza, la possibilità di chiusura si riduce al 4,6% per l'industria, che mantiene il 45,7% delle imprese con attività costante, all'interno della manifattura l'unico settore con serie difficoltà appare il tessile abbigliamento, dove ben il 12,4% delle imprese sta valutando se chiudere l'attività.

Le costruzioni mostrano percentuali simili all'industria, mentre nei servizi, il settore che è stato interessato da una chiusura più lunga e penalizzante, sale all'8,8% la quota di imprese che potrebbe chiudere, valore che raggiunge il 15,5% nei servizi alle persone e il 17,9% nell'alloggio e ristorazione, quest'ultimo settore vede anche la quota massima di imprese che opera a regime ridotto, che raggiunge il 77,3% del totale, molto danneggiati anche i servizi alle persone con il 58,6% che non lavora a pieno regime. Unici settori con andamento non troppo negativo sono i servizi finanziari e assicurativi, dove il 63,8% non ha risentito del lockdown.

LE CONSEGUENZE SULL'OCCUPAZIONE

A fronte di tali difficoltà, l'80,6% delle imprese ha adottato azioni rivolte alla gestione del personale, innanzitutto usufruendo della CIG a zero ore (52,5%), tale quota aumenta al 62,8% a livello nazionale, mentre è simile in Emilia Romagna (54,6%). A Modena è stata utilizzata in misura maggiore dai servizi di alloggio e ristorazione (80,4%) e dai servizi alle persone (62,7%), si è inoltre ricorsi a ferie e permessi del personale (39,3%) e infine al lavoro agile (25,5%), quest'ultimo usufruito al massimo dai "servizi informatici e telecomunicazioni" (69,3%) e dai "servizi avanzati alle imprese" (62,0%), proprio grazie al tipo di attività che svolgono.

Tuttavia, nonostante le misure di emergenza adottate, tra le imprese che dichiarano di voler proseguire l'attività anche dopo il lockdown, nel primo semestre del 2020 si prevede una diminuzione del personale nel 21,5% dei casi rispetto al primo semestre del 2019, il dato risulta simile anche a livello regionale e nazionale. Tale calo è più diffuso tra le medie imprese (10-49 dipendenti), dove il 27,9% di esse prevede una perdita di occupazione, mentre raggiunge il minimo nella classe di addetti successiva (12,9%). A livello settoriale le attività più interessate da cali di occupazione saranno i servizi di alloggio e ristorazione dove il 42,9% delle imprese presume che avrà meno dipendenti, il tessile abbigliamento (35,2%) e le industrie del legno (23,6%). Stazionaria l'occupazione nell'84,3% delle industrie alimentari, nell'83,6% dei servizi avanzati alle imprese e nell'81,5% del commercio, mentre incoraggiante la previsione di incremento nel 10,8% delle attività dei servizi informatici e del 7,4% delle costruzioni.

La maggioranza delle imprese che ipotizzano una diminuzione di personale, attribuisce la causa principale ad una diminuzione della domanda (70,1%), in particolare nell'industria tale motivazione è più evidente rispetto ai servizi, ad esempio nell'industria della carta (91,4%), nel tessile abbigliamento (86,3%) e nelle industrie meccaniche ed elettroniche (83,3%), mentre nei servizi la maggior difficoltà è dovuta alla vera e propria chiusura delle attività, con il 50,8% delle imprese che ha diminuito il personale perché impossibilitata a lavorare. I picchi si registrano ancora una volta nell'alloggio e ristorazione (64,5% di tagli dovuti al lockdown) e nei servizi alle persone (64,3%).

I tagli del personale sono stati effettuati soprattutto diminuendo le figure professionali con contratti temporanei, ad esempio con il mancato rinnovo di contratti a termine nei servizi di alloggio e ristorazione (12,7%) e nel tessile abbigliamento (9,4%), oppure il mancato ricorso a lavoratori occasionali, sempre nell'alloggio e ristorazione (11,9%).

Pochissime le imprese che hanno dichiarato di voler diminuire i dipendenti per l'impossibilità di attuare misure di riduzione del rischio per i lavoratori (1,6%).

Infine le imprese hanno convenuto che le azioni fondamentali per superare la crisi, oltre a non essere nei settori interessati dal lockdown, sono state il ricorso agli ammortizzatori sociali (41,6%) e al lavoro agile (18,2%).

PREVISIONI DI RECUPERO E STRATEGIE FUTURE

Riguardo le previsioni di recupero dell'attività, le imprese sono piuttosto prudenti, infatti non si aspettano un ritorno immediato ai livelli di operatività prima dell'epidemia: le più ottimiste, che sono in minoranza, si attendono un ritorno alla normalità entro fine luglio (10,4%) o entro fine ottobre (9,7%), ma la maggior parte pensa di tornare a pieno regime entro l'anno 2020 (33,4%) o addirittura la quota maggiore (46,5%) entro i primi sei mesi del 2021. I più pessimisti risultano i servizi, in cui più della metà delle imprese (51,0%) opererà come prima del lockdown nel 2021, mentre nell'industria tale quota scende al 39,2%. Tra i servizi il più penalizzato è l'alloggio e ristorazione (il 61,2% sarà pienamente operativo nei primi sei mesi del 2021), mentre la maggioranza delle costruzioni vedono entro il 2020 un ritorno alla normalità (38,4%).

Di fronte a un avvenimento di tale portata le imprese non sono certo rimaste immobili, la loro reazione è stata molto positiva, tanto che ben l'82,7% di esse ha adottato azioni innovative nel post lockdown per continuare ad operare. Tale quota risulta più rilevante nell'industria (85,0%), con un massimo nella lavorazione dei minerali non metalliferi (93,4%) e nelle industrie farmaceutiche, plastica e gomma (91,5%). Nei servizi la percentuale di chi ha intrapreso cambiamenti risulta leggermente inferiore (81,4%), con un minimo nei servizi di supporto alle imprese e servizi alle persone (77,1%). La quota rimanente resta in attesa di vedere l'evolversi della situazione prima di effettuare cambiamenti.

Riguardo il tipo di azioni intraprese, si può affermare che la maggior parte di esse sono rivolte ad incrementare la sicurezza sul lavoro per riprendere l'attività con il virus ancora in circolazione, così l'81,7% delle aziende si è dotata di strumenti per il rientro in sicurezza dei lavoratori, con un massimo del 90,8% nei servizi alle persone ed un minimo del 60,3% nelle industrie tessili abbigliamento. Segue l'adozione di protocolli di sicurezza sanitaria (46,1%), formazione del personale sui dispositivi DPI (49,5%) e un ripensamento degli spazi per i clienti (20,3%). Ben il 18,0 ha inoltre individuato un responsabile prevenzione Covid-19.

Altre azioni che impatteranno maggiormente sull'organizzazione del lavoro sono l'adozione del lavoro agile (15,8%), lo sviluppo di servizi a domicilio (6,9%) e il commercio elettronico (6,7%).

Tutti questi miglioramenti aziendali verranno effettuati soprattutto per mezzo di un'attività di reskilling (71,4%), cioè di formazione del personale interno per renderlo in grado di affrontare nuove mansioni, sia più tecnologiche, sia per aderire alle nuove direttive di contrasto alla diffusione del virus. Poco utilizzata l''opzione di aggregazione di imprese (4,8%) e anche l'assunzione di figure dedicate alla riorganizzazione aziendale (2,6%).

EFFETTI SULLA TENUTA FINANZIARIA DELLE IMPRESE

Le imprese, nei mesi al culmine della pandemia, hanno anche avuto parecchie difficoltà finanziarie, dovendo continuare a sostenere i costi fissi dell'azienda anche durante la chiusura in cui non avevano entrate. Il 37,2% di esse ha dichiarato di avere avuto problemi di tenuta finanziaria e hanno dovuto ricorrere a finanziamenti per tenere in vita l'impresa.

Tra coloro che hanno richiesto un prestito, ben il 38,6% ha fatto ricorso al decreto liquidità emanato dal governo proprio per sostenere l'attività imprenditoriale in questo momento difficile, le imprese dell'industria ne hanno fatto un uso maggiore (40,0%), con l'industria del mobile che mostra la quota di utilizzo più alta (51,8%) e l'alimentare che ne ha avuto minore necessità (27,4%), nei servizi tale percentuale scende al 37,8%, con un minimo nei servizi finanziari ed assicurativi (9,2%) ed un massimo nei servizi di alloggio e ristorazione (49,0%). Il 51,9% di chi ha fatto domanda per il finanziamento del decreto liquidità ha visto la sua pratica approvata entro i primi giorni di giugno.

Coloro che hanno richiesto la garanzia SACE, l'hanno utilizzata soprattutto per fronteggiare i costi del personale o investimenti in Italia (29,2%), mentre pochi per potenziare l'export (8,7%). Il Fondo di Garanzia per le PMI invece è stato richiesto soprattutto dalle piccolissime imprese da 1-9 addetti (71,7%) per prestiti fino a 25.000 euro.

La divisione per settori conferma la richiesta di piccole somme e soprattutto dai settori che hanno avuto maggiori difficoltà: il 46,6% delle imprese dell'industria ha chiesto un prestito fino a 25.000, con un massimo del 56,8% nel tessile abbigliamento, mentre nei servizi tale quota sale al 65,1%, con un picco dell'89,3% nei servizi di alloggio e ristorazione.

Le restanti 5.290 imprese che non hanno usufruito del decreto liquidità, pari al 29,9%, ha preferito ottenere il credito necessario in altro modo, soprattutto seguendo le modalità classiche di finanziamento, cioè il maggior utilizzo delle linee di credito bancario già disponibile, soprattutto nel periodo marzo-aprile 2020 (54,9%), in misura minore per i mesi successivi maggio-dicembre 2020 (37,5%). I finanziamenti regionali sono stati utilizzati molto meno (13,9% in marzo-aprile), mentre residuali sono le fonti di finanziamento attraverso l'anticipo di fatture tramite piattaforme web e la richiesta di prestiti tramite le piattaforme web.

INVESTIMENTI DIGITALI

In questi mesi di isolamento imposto, notevole è stata la spinta digitale, sia per le famiglie che per le imprese, unico modo per comunicare quando è stato impedito il contatto fisico tra le persone. Tuttavia le imprese avevano già fatto molte migliorie in campo digitale, infatti ben il 52,0% aveva già investito in tecnologie, modelli organizzativi e nuovi modelli di business tramite innovazioni digitali.

In seguito all'emergenza sanitaria, il 48,0% ha effettuato ulteriori investimenti in questo campo, modificando in alcuni casi le priorità aziendali. Ad esempio in alcuni ambiti sono molto aumentate le imprese che ritengono "molto o moltissimo importante" investire in nuove regole per la sicurezza sanitaria anche tramite processi digitali, passando dal 26,9% pre-covid al 45,5% in seguito alla pandemia.

Anche l'utilizzo di digital marketing e strumenti digitali per tutte le varie fasi di vendita e di spedizione sono passati dal 22,9% di imprese che li ritenevano molto importanti al 40,4%, così come l'analisi dei bisogni dei clienti per un servizio personalizzato, che arriva al 40,2% nel post lockdown.

Terza priorità diviene lo sviluppo di una rete integrata con reti esterne di fornitori, che il 38,9% di aziende ritiene "molto o moltissimo importante". Infine vi erano alcuni ambiti ritenuti fondamentali anche nei mesi precedenti la pandemia, ma che ora sono stati potenziati, come la sicurezza informatica che passa dal 34,9% al 41,1% e l'utilizzo di reti internet ad elevata velocità (34,9% prima, 41,1% ora).

Tutte queste innovazioni tuttavia vengono affrontate dalle aziende utilizzando il capitale umano già presente, con pochissimi reclutamenti di nuove risorse (8,8%) e in misura maggiore utilizzando servizi di consulenza esterna (14,8%), mentre per la maggior parte si farà formazione al personale già in essere in azienda per adeguarlo alle nuove tecnologie e ai nuovi modelli organizzativi e di business (39,7%). Tali fenomeni sono diffusi quasi uniformemente nei vari settori.

IMPRESE ESPORTATRICI E DIGITALI

Infine si sono esaminati gli effetti della pandemia su tipologie di imprese differenti: imprese che operano solamente sul mercato interno e imprese che esportano, oppure imprese che hanno adottato piani di digitalizzazione o meno.

Ad una prima analisi appaiono più resilienti sia le imprese esportatrici, sia le imprese che hanno completato la transizione digitale, cioè che hanno effettuato piani di investimenti integrati tra i diversi ambiti della trasformazione digitale.

Innanzitutto la quota di imprese esportatrici che riescono ad operare a regimi simili a quelli pre-emergenza è sensibilmente più elevata rispetto alle altre: le prime raggiungono il 43,4% del totale, mentre quelle che non esportano sono solamente il 36,4%. Risulta analoga la quota di entrambe le categorie che operano a regime ridotto, mentre quelle che non esportano sono maggiormente a rischio di chiusura (8,1%) rispetto a chi vende all'estero (2,5%). Inoltre le imprese esportatrici prevedono anche un recupero più veloce nel post-lockdown, con il 43,1% di esse che recupereranno solamente nei primi sei mesi del 2021, mentre nelle "non esportatrici" tale quota sale al 47,2%.

Grazie agli ammortizzatori sociali non ci sono grosse differenze nell'occupazione, che in entrambe le categorie risulta stabile nella maggioranza delle imprese.

Tuttavia le imprese che esportano si adattano maggiormente a mutare la loro attività nel post lockdown, con 31,2% di esse che estenderanno lo smart working, contro il 12,5% delle altre, inoltre il 14,7% delle esportatrici si convertirà al commercio elettronico, mentre le altre imprese si fermano al 5,0%.

Anche la distinzione fra imprese digitali e non implica una certa differenza nell'affrontare la crisi, che nel primo caso porta dei vantaggi.

Infatti mentre la metà delle imprese digitali opera a regime ridotto, tale quota sale al 58,8% per le imprese tradizionali che risultano anche più lente nella fase di recupero: ben il 50,7% di esse pensa infatti di tornare alla normalità entro i primi sei mesi del 2021, mentre per quelle informatizzate solamente il 43,3% attenderà così a lungo.

Come per le imprese esportatrici, non vi è una grande differenza sull'impatto occupazionale, ma sulle azioni da adottare nel post-lockdown sì: come per le imprese esportatrici, quelle digitali ricorreranno maggiormente al lavoro agile (26,0%) e implementeranno il commercio elettronico (10,0%), mentre per le imprese tradizionali tali quote scendono rispettivamente al 6,7% e al 3,8%.

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pubblicato il 03/08/2020 ultima modifica 03/08/2020